Hereditary - Ari Aster
- FlaviaFederico
- 8 lug
- Tempo di lettura: 2 min

Probabilmente Hereditary è uno dei miei film horror preferiti, l’ho capito l’altro giorno dopo averlo guardato per la quinta volta.
Mi sono chiesta perché questo film ha così presa su di me, perché nonostante sia un’ascesa all’inferno di più di due ore continuo a guardarlo estasiata.

La verità è che Hereditary è il film dell’orrore perfetto, se si pensa che è il debutto di Aster alla regia c’è da avere paura di quest’uomo perché un essere umano in grado di scrivere e mettere su schermo una storia così dolorosa e terrificante significa può essere capace di scriverne molte altre di questa portata.
È il film perfetto perché contiene per tematiche, dinamiche interpersonali e scelte registiche visive e di montaggio tutti quei fattori che, trovato il giusto incastro, fanno vivere il prodotto di vita propria anche dopo la visione.
È perfetto perché è la storia di una famiglia alle prese con un lutto importante e che porta con sé molteplici fardelli, un eredità appunto, fatta di perdita, di malattie mentali, di rancore e silenzio che il lutto stesso fa emergere ed amplifica e come edera si insinua nelle spaccature della casa e dei suoi abitanti fino a farli soffocare.
Hereditary è un sussurro in piena notte ed un urlo in faccia mentre stai cenando in compagnia della tua famiglia, è un’ombra all’angolo della camera da letto ed un incendio che divampa in cucina, è la speranza che muore davanti all’ineluttabilità di un destino già scelto.
Un labirinto senza via di fuga e con un Male che tira le funi di tutti i protagonisti facendogli credere di essere liberi di scegliere la via per la guarigione, per l’accettazione, per il dialogo ma che altri non è che un’ascesa verso le sue braccia.
Hereditary è una storia tragica dove il Deus Ex Machina non è ciò che pensiamo.
Non c’è sorriso, redenzione, non c’è respiro di sollievo, solo una paura in costante ascesa che si attenua con i titoli di coda, forse.
Non posso parlare di tutta la parte tecnica e le scelte geniali dei movimenti di camera perché non ne sono in grado, ma posso dirvi che è un collirio per gli occhi, un collirio che brucia, ovviamente.
Come si sa però amiamo le cose non solo perché li consideriamo tecnicamente ottimi quindi, in finale, perché amo questo film?

Perché mi sento rappresentata.
Intendiamoci rappresentata in senso lato, non perché sto vivendo le stesse cose dei protagonisti, ma perché so come ci si sente nel cercare di fare qualcosa di buono per sé stessi e per la famiglia per poi ritrovarsi nello stesso punto e con più problemi di prima.
Quel senso di rabbia ed impotenza nei confronti delle malattie che avanzano, nell’incomunicabilità di rapporti che non riesci più a gestire, in una quotidianità sempre uguale che ti soffoca e nel superare i lutti che sono sempre di più.
Nel film la chiave soprannaturale porta del sollievo fittizio inglobando ed alienando la vita stessa, io fortunatamente ho ancora uno spiraglio di speranza, ma chissà… forse tutti siamo intrappolati in case, affetti, malattie e scelte ereditate da altri… sta a noi capire se si tratta di una benedizione o una maledizione.
Foto ed illustrazioni prese su Pinterest senza firma e fonte. Se qualcuno riconosce gli artisti me lo faccia sapere, grazie!
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